HARŞEY ÇOK GÜZEL OLACAK

“Harşey çok güzel olacak” – “Andrà tutto bene”. È questo l’augurio che ho sentito rivolgermi qualche giorno prima della partenza per il rientro in Italia. Scrivo questa storia, con cui intendo narrare della Turchia, mentre, comodamente incastrato nella scrivania della mia dimora, penso a quanto è bello essere tornato qui a Matera, la mia città natale. Al ritorno da ogni viaggio, sento quanto sono fortunato ad essere nato qui; d’altra parte sento l’esigenza di dare qualcosa indietro alla mia terra ed in qualche modo ringraziarla per essermi sempre ospitale. Esploro e fuggo all’estero anche per questo; porto con me il backpack delle esperienze, una specie di borsa immaginaria, così colorata da essere invisibile, dove conservo tutte le emozioni e le nuove conoscenze che faccio sul sentiero del mio viaggio. Spesso, alla fine dei miei viaggi, la borsa è piena di incredibili meraviglie o amari insegnamenti, perciò sento l’esigenza di tornare a casa mia, nella mia terra, e svuotarla completamente. Si tratta per me di un momento di profonda riflessione, analisi di quello che ho vissuto ed estrapolazione delle nuove coordinate della mia personalità. Ogni volta che la svuoto, lascio un segno nei miei appunti, nei discorsi con i miei amici di sempre o fra le strade del centro storico. Sento di avere una sorta di missione verso me stesso e questa città: quella di riprendere tutte queste emozioni, abilità e conoscenze acquisite lungo il mio cammino, ancora agli albori, e riversarle simultaneamente in un progetto che riguardi lo sviluppo culturale e sociale di questo posto per me sacro. Sento anche di non essere ancora pronto ad un passo del genere, questo per me significa dover indossare molte altre volte il backpack delle emozioni e recarmi negli angoli più remoti della terra e della psiche; ho bisogno di conoscere, conoscervi, conoscerli, conoscermi, sempre di più. Il giorno che deciderò di fermarmi nel fare questo, non sarà perché mi riterrò soddisfatto oppure abbastanza consapevole del mondo, ma solo perché sarà giunto il tempo di servire la mia terra e la mia natura più profonda. A riguardo della ricerca del sapere e delle esperienze: per me non esiste fine, per me non esiste persona totalmente consapevole, non esiste maestro né guru. Ci sono persone molto colte e spiritualmente vive, ma nessuno sul pianeta terra, o quasi, ha mai avuto abbastanza tempo per vivere tutte le vite e conoscere tutti i pensieri ed i saperi umani. Questa consapevolezza, paradossalmente, mi regala una sconfinata fame di sapere, un’onesta curiosità, quasi puerile. Se guardo indietro al percorso di questi tre mesi passati in Turchia, non posso che esserne meravigliato. Nonostante gli imprevisti e gli errori che ho commesso, il peso delle emozioni positive e degli eventi illuminanti è di gran lunga maggiore a cospetto del resto. Tutti gli sguardi incontrati hanno lasciato il segno, in un modo o nell’altro rimangono impressi nella mia testa. Le loro abitudini che presto ho fatto mie, la loro lingua che ho tentato di addomesticare ma con risultati modesti, la loro ospitalità e l’attenzione per i dettagli, le loro storie e leggende che hanno riempito la mia testa di sogni e visioni.

Nell’ultimo mese del mio programma EYE al Kaizen Gate Hotel & Training Center sono entrato nel vivo dell’international project management. Youth Mind è uno youth group appena nato in Turchia e si occupa di E+ project management. Il coordinatore principale, Abdullah Yahya Çamurluoğlu, era responsabile dello scambio giovanile che ha preso luogo al Kaizen Gate nelle date fra 25 giugno e 2 luglio. Sono stato molto fortunato nel poter essere coinvolto nell’organizzazione di questo progetto, oltre che nella facilitazione di alcune delle sessioni e nella rappresentanza del team italiano. Dopo circa 15 progetti, fra training e scambi giovanili, questa è stata per me la prima volta nell’essere parte attiva del coordinamento di uno youth exchange. Non ero più semplicemente un partecipante, ma un organizzatore. Lavorando dietro le quinte, ho compreso quanto il lavoro dello youth worker possa avere un profondo impatto sulla vita personale e professionale dei partecipanti. Ho imparato come, in situazioni di contatto umano così come in campo lavorativo, è molto importante condividere non solo i sentimenti positivi, ma soprattutto le negatività, le difficoltà e i problemi, perché è grazie a questi ultimi che ci miglioriamo. In casi di feedback negativi dal team di lavoro, per esempio, è importante mettersi nei panni degli altri, ascoltare tutti e moderare i sentimenti alla ricerca di un compromesso che funzioni per la collettività. Quando l’energia del gruppo è alta, il lavoro, o qualsiasi cosa questo gruppo stia facendo, risulterà migliore. Osservando e sbagliando, ho scoperto tantissimo ed ho imparato a riporre estrema attenzione nei dettagli organizzativi. Quello che più mi ha arricchito durante la settimana del progetto però è stata la possibilità di essere a contatto con circa 45 persone provenienti da tutta Europa e facilitare processi di interscambio culturale, instaurando profonde connessioni umane e lavorative. Dopo il periodo di pandemia globale, in cui immergersi in un ambiente multiculturale non era più per me una quotidianità, ritrovarmi fra tutte queste persone, così belle e diverse, è stato profondamente stimolante.

Al termine del progetto, Kaan, il mentore a cui sono associato per EYE, ha deciso di concedermi del tempo libero per visitare la Turchia. Pensava fosse importantissimo integrare nella mia permanenza delle esperienze in posti significativi della Turchia; se non altro conosceva il mio profondo interesse nella cultura Sufi, nella danza dei Dervisci, e nella splendida Cappadocia. È per questo motivo che, poco dopo, allacciavo le cinture del mio sedile, 12F, su un nuovo volo Turkish Airlines, alla volta di Nevşehir, intento ad esplorare in lungo ed in largo l’antica Cappadocia per poi fare tappa nella poco turistica Konya, là dove Mevlana, detto Rumi, poeta e mistico persiano, visse dando vita alla confraternita dei Dervisci Rotanti. Questo viaggio era stato pensato per essere vissuto da solo, con la mia Moleskine verde come unica compagna di avventure, ma le circostanze del fato hanno voluto che finissi per essere circondato da persone stupende che mi hanno accompagnato in questo cammino fra l’onirico ed il reale. Nelle profonde valli di Göreme, col sorriso dell’avventura sulla faccia, abbiamo scalato alte vette traforate da cunicoli antichi recanti chiese e complessi rupestri. Affreschi antichi millenni e volti bizantini che sussurrano storie sgretolate come pietra sabbiosa, ormai perse nel mistero del tempo. Kaymakli invece è un posto surreale; si tratta di una città sotterranea, una delle 36 scoperte dagli studiosi in Cappadocia, dove la gente si recava in tempi di guerra o particolari difficoltà. A 8 livelli, poteva contenere 5000 persone e ospitare vita per numerosi mesi. Altri luoghi in cui non volevamo credere ai nostri occhi sono stati Mustafapaşa, Çavuşin e Uçhisar. Assoluta la somiglianza di questi posti con la mia Matera, dagli ipogei ai complessi rupestri, dai monasteri alle chiese; tutto era davvero molto simile e per più di qualche istante la mia mente confusa ha percepito di camminare fra le rocce solide e morbide della mia terra natia. Pelle d’oca, occhi spalancati, cuore che pulsa come in preda ad una percussione vibrante.

Alla volta di Konya, abbiamo incrociato un campo di girasoli così sconfinato da non riuscirne a vedere la fine. Arrivato in città, ho visitato moschee e bazar. Si tratta di una città davvero poco turistica, gli unici che vi si recano sono solitamente pellegrini e per la maggior parte turchi. Era sicuramente un ambiente diverso da quelli che avevo visto prima, a tratti spaesante. È stato magnifico visitare il mausoleo di Mevlana ed ascoltare la musica Sufi per le strade. Tutte le poesie di Rumi lette in passato, sfrecciavano nella mia mente raccontando della sua vita e dei suoi pensieri, mentre camminavo per le strade sulle quali lui passeggiava con grazia eterea.

Tornato a Fethiye, ho continuato a lavorare al fianco di Kaan su diverse cose; abbiamo usato gli ultimi giorni insieme per pianificare collaborazioni future a lungo termine ed impostare il mio percorso lavorativo in maniera indipendente.

Sono profondamente grato a Kaan, al Kaizen Gate ed al programma EYE per avermi dato la possibilità di crescere così tanto umanamente e professionalmente. E ora? È solo l’inizio! Il meglio deve ancora venire… e ovviamente “andrà tutto bene”.

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