A metà del mio percorso Olandese: un exchange fluido e dinamico

Ed eccomi a metà del mio percorso formativo con il programma EYE, in Olanda per uno scambio formativo all’interno di uno studio di architettura, precisamente ad Amsterdam.

Ormai sono passati più di due mesi dall’inizio del mio exchange, iniziato il primo Febbraio e che terminerà agli inizi di Giugno e posso dire di ritenermi più che soddisfatta da come questa esperienza si stia evolvendo, nonostante la situazione che stiamo vivendo in tutto il mondo.

Le prime settimane sono state ovviamente molto emozionanti, era tutto nuovo ai miei occhi, nuove persone con cui interfacciarmi, un grandissimo co-working nel quale convivono sei studi di architettura differenti, le difficoltà linguistiche e culturali da dover affrontare.

Da subito ho sentito che la dedizione al lavoro e la gentilezza del mio HE, sono state fondamentali per inserirmi in questo nuovo ambiente, lentamente anche gli altri colleghi dello studio si sono piano piano aperti nei miei confronti. All’inizio non è stato semplicissimo, ero nuova, la più giovane e l’unica straniera in un team di architetti solo olandesi.

Ma dopo circa un mese e mezzo sono entrata pienamente a far parte del gruppo lavorativo, condividendo pranzi veloci all’olandese composti da pane, salse e burro di arachidi, facendo passeggiate rapide all’interno del Vondelpark per sgranchirsi le gambe dopo ore passate davanti al computer e brindando il Giovedì dopo lavoro con una birra in mano nel pub sotto l’ufficio.

I progetti da seguire sono molti e le modalità o l’utilizzo dei programmi sono sempre diversi, da studio a studio, quindi ho dovuto adattarmi al loro modo di lavorare e di progettare, alle riunioni e allo sviluppo di elaborati di qualità. Sono molto contenta di aver introdotto l’utilizzo di un programma di rendering per velocizzare e facilitare il lavoro dello studio e spero di poter introdurre un ulteriore programma BIM per semplificare al massimo e aumentare la capacità lavorativa dello studio. Tutti i miei colleghi, sopratutto il mio HE si sono resi entusiasti e positivi riguardo ai cambiamenti che potrei apportare al lavoro quotidiano dell’ufficio, spronandomi ad imparare quante più cose possibili.

Credo di aver capito che aprire uno spazio co-working, magari all’interno di uno Squat, ovvero di uno spazio vuoto all’interno di un edificio abbandonato, sia principalmente ciò che spero di fare una volta terminata questa esperienza. E anche la possibilità di lavorare da remoto al momento mi sembra un’ottima opportunità sotto vari aspetti, dalla comodità di lavorare da casa propria, alla possibilità di sviluppare le proprie capacità in autonomia. Credo che questo exchange abbia cambiato la mia visione di studio di architettura, rendendola più fluida e dinamica, abbattendo la condizione statica a cui ero abituata.

Ormai però, non possiamo condividere molto di tutto ciò. Lavoriamo principalmente da remoto, ognuno da casa sua, aspettando che questo momento finisca per ritornare nel nostro ufficio e riguardarci tutti negli occhi. Nel frattempo, fortunatamente, abbiamo i mezzi necessari per progredire con i progetti, per sentirci quotidianamente e per videochiamarci per darci gli auguri di Pasqua.

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